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Tre tecniche che i migliori psicoterapeuti utilizzano in ogni seduta



Titolo originale: 3 Techniques Masterful Psychotherapists Use in Every Session


Ci sono molti strumenti e molti metodi utili che gli psicoterapeuti utilizzano nel loro lavoro, e che riflettono tipicamente una modalità terapeutica specifica. In definitiva, la fiducia, la speranza, la relazione e un numero indefinibile di fattori impossibili da "procedurizzare" possono catalizzare la trasformazione terapeutica. Tuttavia, con la competizione fra priorità che esiste nella nostra epoca di innovazione e di assistenza gestita, dobbiamo reindirizzare la nostra attenzione. Gli psicoterapeuti esperti usano queste tre tecniche in ogni seduta.


#1 - Affrontare i problemi con calore, empatia e curiosità.


Anni fa, un ragazzo delle medie - ovvero il mio paziente - uscì dall’aula urlando parolacce all’insegnante, la quale lo rimproverava esigendo obbedienza. Mi venne chiesto di agire prontamente per aiutare. Per dieci minuti restai a guardare l'insegnante corrergli dietro, pretendendo obbedienza: si arrese solo dopo aver ripetuto le sue richieste per un'ultima, inutile volta.


Rimasi in silenzio mentre il ragazzo correva selvaggiamente verso il campo da calcio. Trovò un lungo tubo di PVC e cominciò ad usarlo come bastone per arti marziali. A pochi metri da lui, mentre brandiva la sua arma per difesa, io afferrai un altro tubo facendolo roteare in maniera maldestra. Lui scoppiò a ridere: "Haaa! Sei un idiota! Non sai che c***o stai facendo!"

Ridendo di me stesso, gli dissi: "Belle mosse. Dove le hai imparate?".


Lui iniziò subito a vantarsi della sua cintura di karate, e io stetti a sentire esclamando "Ah", "Oh" e "Um", facendo anche domande genuinamente curiose (era, dopo tutto, piuttosto interessante) mentre mi spiegava le mosse e gli esercizi. Quando fece finalmente una pausa, quasi senza fiato (non solo per l'angoscia e l'esercizio fisico, ma anche per l'emozione di avere qualcuno che lo stava ascoltando) gli dissi: "Beh, grazie, è stato divertente, ma ora è meglio che io torni nel mio studio. Ho un sacco di scartoffie da sistemare. Vuoi tornare a piedi con me?"

Notai un barlume di sospetto nei suoi occhi, e si rifiutò. "Non restare qui troppo a lungo", gli risposi. "Io e te abbiamo entrambi del lavoro da fare".


Mentre me ne andavo, la mia ansia aumentava. Non potevo lasciarlo. Tuttavia, non potevo nemmeno forzarlo, e non vedevo nulla di buono in un conflitto di autorità. Eppure non potevo rientrare nella scuola senza di lui, o sarei stato rimproverato. E se si fosse fatto male? E se fosse scappato?


Ero a trenta metri dall'edificio quando mi raggiunse. Corse al mio fianco e iniziò a camminare con me. Raggiungemmo insieme la porta dello stabile in cui si trovava la sua classe, che ho aperto dicendogli: "Buon pomeriggio". La sua risposta fu: "Divertiti con tutte quelle scartoffie". Ridemmo entrambi, poi lui tornò al suo posto. L'insegnante mosse le labbra, ma senza emettere alcun suono, per mimare una parola di gratitudine: "Grazie".


Conosciamo tutti i farmaci la cui etichetta avverte di "usare solo il dosaggio minimo indispensabile". La terapia incentrata sulla persona è minimalista. Jay Efran e Rob Fauber (2015) hanno scritto: "Quando la tela terapeutica è ingombra, i terapeuti sono probabilmente coinvolti nella storia del paziente e distratti dalle loro stesse preoccupazioni su come intervenire, spesso non vedendo la prospettiva più ampia che potrebbe migliorare l'impatto della terapia".


Carl Rogers (1961) insegnava: "L'aspetto paradossale della mia esperienza è che più sono semplicemente disposto ad essere me stesso nella complessità della vita, e più sono disposto a capire e ad accettare le realtà in me e nell'altra persona, più il cambiamento sembra essere profondo".


La maggior parte dei pazienti non desidera interventi sofisticati; desidera relazioni autentiche, sia nella vita reale che nel rapporto poco definito con un terapeuta. Viktor Frankl (1988) ha scritto: "Un approccio puramente tecnologico alla psicoterapia può bloccare il suo effetto terapeutico". Se i terapeuti sono troppo privi di vitalità o se il loro metodo è troppo tecnico, la partecipazione alla terapia può essere inutile. La terapia, in questo caso, non sfrutta il potere curativo dell'incontro e, ciò che ne resta, è forse poco più di una sorta di sperimentazione scientifica.


#2 - Puntare sul discorso del cambiamento costruttivo e sulla creazione di significato.


Negli anni '80, Wallace Gingerich, Steve de Shazer e Michele Weiner-Davis (1988) hanno condotto una ricerca che suggeriva una forte correlazione tra l'uso da parte del terapeuta di quello che veniva chiamato "discorso del cambiamento" e i risultati positivi della terapia. Per esempio, quando i terapeuti usavano termini come "quando" e "volontà" piuttosto che "se" e "sarebbe" mentre indirizzavano i loro pazienti al "discorso del cambiamento", i pazienti stessi si concentravano sui loro successi personali e, in molti casi, andavano ad implementare tali successi.


I terapeuti che vogliono stimolare le energie e le motivazioni latenti dei pazienti si impegnano in congetture che hanno il sapore della curiosità, non della chiaroveggenza. I terapeuti devono arrivare a credere nei loro pazienti se vogliono che migliorino in termini di responsabilità. Se ci alleniamo a parlare di cambiamenti costruttivi, il più delle volte questi inizieranno ad arrivare, in un modo o nell'altro. Quando parliamo di cambiamenti, ci impegniamo a creare un linguaggio e co-creiamo una narrazione all'interno di un un dialogo continuo, oltre ad aiutare prudentemente a dare vita al linguaggio.


#3 - Dare un feedback esplicito sui progressi verso gli obiettivi stabiliti.


Zig Ziglar ha detto: "Quando non si mira a niente, lo si colpisce ogni volta". Quando terapeuti e pazienti non si prendono il tempo per pensare in termini di obiettivi terapeutici, possono comunque beneficiare di esperienze costruttive e progressi terapeutici, (se così vogliamo chiamarli), ma è difficile stabilire se ci saranno risultati significativi in un rapporto terapeutico privo di un'agenda consolidata.


Watzlawick, Weakland e Fisch (1974) affermano: "Il cambiamento può essere attuato efficacemente concentrandosi su obiettivi minimi e concreti, avanzando lentamente e procedendo passo dopo passo, piuttosto che promuovendo con forza obiettivi ampi e vaghi, alla cui auspicabilità nessuno si opporrebbe, ma la cui raggiungibilità è una questione del tutto diversa".


In breve


Carl Rogers (1942) ha dato voce a una psicoterapia basata su tali valori. In "Consulenza e psicoterapia" egli avverte: "La consulenza con molte buone intenzioni non ha successo... Spesso i terapeuti non hanno una nozione chiara della relazione che dovrebbe esistere, e di conseguenza i loro sforzi terapeutici sono vaghi e incerti, tanto nella direzione quanto nell'esito".


La consulenza e l'intervento talvolta rigido dei modelli possono spingere il paziente a vedere attraverso i nostri occhi. L'empatia promuove la fiducia e la consapevolezza di sé, poiché vediamo più chiaramente la situazione del paziente come solo lui potrebbe fare. Qualunque siano le lenti per la messa a fuoco terapeutica e per la seduta, i fautori del cambiamento più efficaci esprimono il rispetto per la dignità umana attraverso il calore, l'empatia e la curiosità. Attuano un intenzionale ottimismo terapeutico che reindirizza i pazienti dal cinismo verso la speranza e l'aspettativa, e stabiliscono un insieme chiaro e consolidato di obiettivi validi.


Bibliografia


Efran, J., & Fauber, R. (2015, March/April). Spitting in the Client's Soup: Don't Overthink Your Interventions. Psychotherapy Networker, 31-48.


Frankl, V. (1988). The Will to Meaning: Foundations and Applications of Logotherapy. New York: Penguin Books.


Gingerich, W., de Shazer, S., & Weiner-Davis, M. (1988). Constructing Change: A Research View of Interviewing. In E. Lipchik (Ed.), Interviewing (pp. 21-31). Rockville, MD: Aspen.


Rogers, C. (1942). Counseling and Psychotherapy. Cambridge, MA: The Rivers