Sostenere le persone LGBTQIAA in psicoterapia

Titolo originale: Advocating for the LGBTQIAA in Psychotherapy
Il mio impegno nel supportare le comunità svantaggiate deriva dalla mia eredità ebraica. Come ebreo, faccio parte di una minoranza resistente che ha vissuto secoli di oppressione e genocidio. Questo ha alimentato la mia sensibilità nei confronti delle discriminazioni, e mi ha portato alla passione per la giustizia sociale. Sono diventato attivo nel club LGBTQ+ della mia università e sento che è mio dovere civico difendere i pazienti LGBTQIAA+ (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer, indecisi, intersessuali e altri) in modo che possano essere supportati meglio.
Sono anche sensibile alle sofferenze altrui, perché sono cresciuto con un impedimento nel parlare. Da bambino, la maggior parte delle persone non capiva che la mia balbuzie era involontaria; i coetanei mi dicevano di "rallentare" e di "rilassarmi e parlare". La gente non capiva la mia difficoltà, e ho sofferto in silenzio finché non ho imparato a superarla. Da quando l'ho superata, ho sempre sperato di poter evitare una sofferenza simile in altri.
Come vi sentireste se l'opinione comune vi imponesse regolarmente un genere e/o un orientamento sessuale che non rappresenta esattamente quello che sentite di essere?
Non è necessario aver sofferto come ho sofferto io per fare la differenza per la comunità LGBTQ+, che si stima sia il 10% della popolazione mondiale (e questo dato riflette solo coloro che se la sentono di parlarne). Tutti noi abbiamo avuto un piccolo assaggio di come ci si sente ad essere discriminati. Questa comunità ha combattuto una battaglia in salita per la propria vita, con il lavoro, le famiglie e le relazioni interpersonali costantemente a rischio. Sopportano di continuo etichette sbagliate, violenza e giudizi. L’aspetto più dissimulato, forse, è la gente che pensa che sia una scelta quando invece non lo è. Ecco alcune domande su cui riflettere nella vostra attività:
Date per scontato che le coppie siano monogame? Presumete che tutti i vostri pazienti siano cisessuali? Date per scontata l'eterosessualità se qualcuno è momentaneamente impegnato in una relazione eterosessuale? Pensate che il paziente con cui state parlando sia eterosessuale? Ad esempio, avete chiesto, consapevolmente o inconsapevolmente, se una paziente donna ha un fidanzato invece di un "partner"?
Il binario lui-lei cancella inavvertitamente le persone trans. C'è molta più varietà nel genere umano, non solo "signore e signori" o "uomini e donne". Poiché il veicolo del cambiamento per gli psicoterapeuti è principalmente il linguaggio, possiamo iniziare usando un linguaggio inclusivo, rispettoso e responsabilizzante. Si può iniziare con un linguaggio incentrato sulla persona, identificando i pronomi, evitando l'uso di termini come "uomo" e "lui/lei" e i riferimenti all'esistenza di bagni separati (a differenza di paesi come il Canada, con bagni pubblici principalmente unisex). Si potrebbe persino chiamare in causa la parola “storia”, che potrebbe diventare “storia di lei”, “storia di loro”, “storia di noi”.* Non c'è da stupirsi che i giovani LGBTQIAA+ abbiano un alto tasso di suicidio. Ecco un caso esemplificativo. **
Al è un quattordicenne, femmina alla nascita, ma che si identifica come maschio. Ha un'evidente storia di traumi; il padre lo ha abbandonato per crescere un'altra famiglia e, a 5 anni, la madre lo ha lasciato alla nonna. È stato inserito in una scuola privata nel 2017, è stato isolato, e nella valutazione iniziale ha dato voce a idee suicide. Praticamente, tutti i suoi contatti sociali sono stati in chat online con altri giovani trans.
All'inizio del trattamento, Al ha detto di volere un certificato medico per la terapia ormonale. Non di rado, gli psicoterapeuti che lavorano con i pazienti trans ricevono la richiesta di documentazione che accerti che una persona trans ha una disforia di genere diagnosticabile, che ha causato sostanziali problemi di salute mentale come il pensiero suicida, ed è "mentalmente in forma" per la terapia ormonale e per prendere decisioni sul proprio corpo. Questo aiuta i terapeuti e le assicurazioni mediche a capire che la terapia ormonale e la chirurgia di genere possono sostenere, invece di ostacolare, la salute mentale di un paziente. Gli assicuratori e/o i medici possono richiederli.
Contrariamente a quanto si crede tradizionalmente, ho ritenuto che fosse sia etico, sia responsabilizzante, fornire ad Al questa documentazione prima, piuttosto che in un secondo momento, nella terapia. Ecco perché.
Noi non siamo dei "guardiani" che decidono cosa i pazienti possono fare con il loro corpo. Non dovremmo bloccare l'accesso di Al alle risorse a cui una persona cisessuale potrebbe accedere senza il permesso del terapeuta. La migliore pratica per me è che, se un paziente vuole una lettera, io gliela consegno. Se un maschio cisessuale venisse a chiedere una lettera per il suo medico per una cura ormonale e avesse un sostegno sociale limitato, non imporremmo vincoli. Una persona trans è uguale a una persona cis, e ha già abbastanza sfide da superare per essere chi è e avere il controllo del proprio corpo.
Il ruolo di un terapeuta è quello di non stigmatizzare. Per esempio, se chiediamo ad Al di fare sei sedute prima di scrivere la lettera richiesta, sarebbe stigmatizzare qualcosa che non ha nulla a che fare con la malattia mentale. Opererebbe anche al di fuori dell'ambito della nostra pratica, perché non spetta a noi a determinare se la loro stabilità mentale interferisca con la loro identità. Non è nemmeno nostro compito determinare se Al è abbastanza sano di mente per prendere la decisione di una terapia ormonale, anche se è un minorenne con la corteccia prefrontale non ancora completamente sviluppata. Dopo la lettera, il ruolo del medico è quello di determinare se tale paziente è in condizioni di ricevere la terapia di ormoni dal punto di vista medico, mentre il suo lavoro è quello di monitorare il corpo del paziente dal punto di vista fisico.
Al ed io siamo giunti alla conclusione che probabilmente lui sta evitando le situazioni sociali a causa della confusione di genere cronica che ha subito, e dell'invisibilità della sua identità; egli vive come una persona trans che non si presenta, né viene percepita nel modo che desidera. Gli ormoni possono essere il catalizzatore che aiuterebbe Al a farsi degli amici, una volta iniziato a sentirsi a proprio agio nella sua pelle. Dopo l'isolamento, l'oppressione, la mancanza di controllo, i sintomi depressivi e con un grande desiderio di questi ormoni (probabilmente per apparire in un certo modo), impedirgli di soddisfare questo desiderio potrebbe probabilmente aumentare i sintomi della depressione ed i pensieri suicidi. Dopo aver scritto la lettera, ho fornito ad Al ampie risorse per mettersi in contatto con altri giovani trans.
Il mio ruolo era quello di sostenere Al per quello che era, non di dettare come avrebbe dovuto essere. Poiché Al era in grado di prendere decisioni, non c'era motivo di imporre limiti quando ha iniziato a prendere gli ormoni.
Non riuscirò mai sottolineare abbastanza l'idea senza tempo del dottor Martin Luther King, secondo cui "le nostre vite iniziano a finire il giorno in cui diventiamo taciturni sulle cose che contano".
* Gioco di parole dall’inglese “history”, che include il pronome maschile “his”.
** Mi sono consultato su questo caso con Van Ethan Levy, terapeuta associato per matrimoni e famiglia, consulente professionale associato e membro della comunità, che usa i pronomi Van/ loro.
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