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Profondità



Titolo originale: Depth


Elizabeth era una studentessa al primo anno di college, che stava terminando un breve periodo di psicoterapia dopo la rottura di una relazione con il suo fidanzato. Nella nostra ultima seduta ha detto che si sentiva bene e che guardava al futuro, ma ha anche fatto un commento che mi ha colto alla sprovvista. Ha detto che avrebbe voluto sapere come essere una persona "profonda". Non sapendo come rispondere sul momento, ho detto qualcosa di rassicurante sull'essere chi era, e che la profondità si sarebbe sistemata da sé.


Da allora ho pensato spesso alla preoccupazione che aveva espresso, chiedendomi se la mia risposta le aveva reso giustizia. Che cosa intendeva esattamente col voler essere una persona "profonda"? E io l'avevo forse liquidata troppo in fretta?


Diversi anni dopo aver lavorato con Elizabeth, è emersa un'altra situazione che sembrava essere correlata. Uno degli studenti del mio laboratorio di consulenza stava esprimendo la sua confusione riguardo a una sessione di pratica con un altro studente, il quale aveva sollevato un problema di cui parlare, però sembrava incapace di elaborarlo in modo significativo. "Cosa fai", ha chiesto "quando il paziente non può dire niente di più sul suo problema, quando non c'è più niente da dire?”


La mia risposta è stata immediata: "Oh, credetemi, c'è sempre qualcosa di più!" Come ripensamento, ho aggiunto: "Forse non arriverete a scovarlo, ma c'è sempre qualcosa di più!"


Sono rimasto un po' sorpreso dall’enfatica certezza con cui ho espresso questo commento, e ci ho ripensato in diverse occasioni successive. Cosa mi ha reso così sicuro del fatto che ci sia "sempre qualcosa di più"? Era come se, negli anni, da quando avevo lavorato con Elizabeth, avessi imparato cosa fosse la "profondità", e che l'avessi imparato in modo più profondo.


Avevo lavorato con centinaia di pazienti dopo Elizabeth. Avevo visto casi su casi di persone che si erano presentate in terapia con un atteggiamento difensivo o superficiale, ma che si erano successivamente aperte per rivelare le emozioni intense, a volte commoventi, che stavano alla base dei loro problemi. In altre occasioni, avevo visto pazienti che avevano costantemente evitato di aprirsi, ma in modi che rendevano evidente il motivo per cui non potevano permettersi di farlo.


Per ironia della sorte, da quando ho imparato ad apprezzare il significato della profondità, il campo della psicoterapia si è spostato nella direzione opposta. Per certi versi, questo campo è stato vittima del suo stesso successo, poiché le crescenti richieste di terapia e le preoccupazioni sui costi hanno portato allo sviluppo di approcci alla cura più rapidi, più efficaci in termini economici e più incentrati sui problemi. Questi approcci più strutturati sono spesso favoriti dai pagatori terzi e da altri interessati all'uso efficiente delle risorse. Senza dubbio questi approcci possono essere più pratici, più concreti e di utilità immediata a molti pazienti con problemi discreti e chiaramente definiti; si potrebbe anche sostenere che sono più democratici e più potenti, poiché hanno eliminato gran parte dell'aura mistica che prima permetteva ad alcuni terapeuti di elevarsi come una "élite di sciamani".


Ma temo che il movimento a cui abbiamo assistito in campo clinico verso terapie più focalizzate sui sintomi rappresenti anche un ritiro dalle vere intuizioni che stanno alla base delle possibili scoperte in psicoterapia. Queste intuizioni includono l'apprezzamento della complessità delle dinamiche che sono alla base di molte forme di sofferenza umana, e il grado in cui queste dinamiche, a volte, implicano la cooptazione degli individui da parte di forze familiari, sociali e istituzionali.


Qualche anno fa, ho scoperto un esempio di quanto sopra nel momento in cui ho scritto una critica dettagliata di una seduta terapeutica videoregistrata condotta da Aaron Beck¹. Il paziente di Beck, Mark, soffriva di ansia da prestazione nel suo lavoro di manager. Nella seduta, Beck ha usato la scoperta guidata per aiutare Mark a capire che soffre di "ansia sociale", che tale ansia è perfettamente normale e che può essere ridotta imparando alcune semplici tecniche di auto-accettazione e rassicurazione. Un attento esame del video, tuttavia, ha suggerito che l'attenzione di Beck per un sintomo pre-categorizzato lo ha reso cieco ad alcune importanti dinamiche di fondo. Mark lavorava nell'industria dell'abbigliamento, dove stava vivendo un inevitabile conflitto tra i suoi superiori, che lo costringevano a ridurre progressivamente i costi, e gli impiegati, che lo incolpavano per i tagli alle loro retribuzioni. Sembrava che a Beck non fosse mai venuto in mente di chiedere a Mark cosa ne pensasse del lavoro stesso. Invece, Beck ha ripetutamente distolto l'attenzione di Mark dal lavoro e ha etichettato il suo problema come "ansia sociale". Così facendo, Beck si è involontariamente allineato con i superiori di Mark e non ha esplorato i suoi sentimenti sul suo ruolo nel lavoro, il significato ed il senso di questi sentimenti e cosa si sarebbe potuto fare al riguardo.


Così, mentre in alcune situazioni le terapie incentrate sui sintomi possono essere veramente efficaci, casi come questo suggeriscono che possono anche rivelarsi invalidanti se non si considerano le storie personali e le forze sociali che modellano i sintomi che i pazienti portano in terapia. Inoltre, possono alienare dalle proprie esperienze interiori, dai propri valori e sentimenti, ossia proprio da quelle questioni di fondo che inizialmente portano a cercare la psicoterapia.


La studentessa che non era stata in grado di elaborare il suo problema nel laboratorio di consulenza non aveva ancora scoperto parte della profondità della sua vita interiore. È interessante notare che ho potuto conoscere questa studentessa abbastanza bene negli anni successivi, mentre imparava sempre di più su se stessa. Ha svolto diversi lavori piuttosto stressanti, tra cui il lavoro manuale e, in seguito, il servizio umanitario presso un'agenzia mal governata che ha creato più problemi di quanti ne abbia risolti. Lo stress di queste esperienze l'ha portata a un periodo di terapia, oltre che a un periodo di ricerca interiore sui suoi valori e i suoi obiettivi. Alla fine, ha deciso di intraprendere una carriera in un campo legato alla salute, ponendo particolare attenzione alla ricerca di interviste approfondite. Era diventata una persona diversa, più profonda, rispetto alla studentessa che avevo conosciuto tanto tempo prima.


Tornando alla mia seduta con Elizabeth, dubito che il suo desiderio di essere "profonda" indicasse la necessità di riprendere il trattamento. Ma, se dovessi rifare tutto da capo, le chiederei di più su cosa intendesse dire. Chi erano le persone "profonde" a cui stava pensando? Quali erano i tratti che le suggerivano la profondità? Aveva mai sperimentato in sé uno di questi tratti? Forse, queste domande non avrebbero portato da nessuna parte. Ma, d'altro canto, avrebbero potuto colpirla in qualche modo e darle qualcosa a cui pensare in futuro.


Dopotutto, c'è sempre qualcosa di più.


Risorse


1 https://psycheandsense.com/empiricism-and-psychotherapy/


Copyright Psychotherapy.net LLC 2022, translated and reprinted with permission.

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