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Magari fosse così semplice!

Aggiornamento: 9 nov 2022


Titolo originale: Oh, That It Were So Simple Poco dopo il mio arrivo alla scuola di specializzazione, sono stato affidato alla supervisione clinica e di ricerca del noto Nathan Azrin, il riconosciuto comportamentista e grande moralista del suo tempo, un discendente intellettuale diretto di B.F. Skinner. Come se questo non fosse già abbastanza per un giovane psicologo in divenire e desideroso di apprendere, ho avuto anche il piacere di assistere e di partecipare sia a conversazioni informali nei corridoi, sia a dibattiti strutturati in aula tra il Dr. Azrin e il Dr. Leo Reyna, che aveva simili convinzioni. Ero veramente in presenza di un genio (anzi, più di uno) ed ero colpito dalla loro capacità di conversare nell’affascinante e riduttiva lingua franca del comportamentismo. Sapevano ricondurre le patologie più complesse alle loro radici, così come sapevano tracciare eleganti strategie terapeutiche per migliorare le più impegnative disfunzioni intra e interpersonali. Io ed i miei colleghi laureati, come adepti alle porte di un tempio, ci crogiolavamo alla luce della loro genialità riduttiva, ipnotizzati dalla loro capacità di spiegare e trattare ogni cosa. Facciamo un salto nel tempo e passiamo da quel giovane aspirante psicologo all'ormai ingrigito terapeuta, che da tempo si è lasciato alle spalle la certezza delle teorie uniche e degli interventi unidimensionali. Passiamo da quel giovane e devoto idealista al pragmatico eclettico che ha lavorato in luoghi diversi, dagli ospedali psichiatrici statali alle strutture per l'affidamento dei giovani, con pazienti ugualmente diversi per età, provenienza e patologia, e con metodi che vanno dalla terapia ludica alla CBT. Ormai non mi fido più della promessa del purismo teorico, e ancor meno di coloro che promettono di dissipare le nubi dell'incertezza clinica con una serie dei loro manuali pieni di informazioni empiriche. Io confido nelle relazioni terapeutiche; molto meno nelle tecniche che uso. *** E poi è arrivato Phillip. Con tutti i programmi di laurea che esistono in tutte le città, in tutto il mondo, lui è arrivato nel mio. Phillip è un comportamentista in tutto e per tutto, capace non solo di sostenere la tesi comportamentale, ma anche di agire in tal senso. È abile con i principi e le tecniche di modificazione del comportamento, essendo arrivato alla sua formazione di laureato con diversi anni di esperienza in prima linea nell'ABA (Applied Behavioral Analysis - Analisi Comportamentale Applicata) con bambini e adulti con problemi di sviluppo e di sviluppo neurologico. Se da un lato può anche farcire le sue polemiche in classe con i nomi, le teorie e le pratiche dei luminari non comportamentisti, dall'altro rimane comunque un comportamentista fino in fondo. Il comportamentismo è assolutamente ragionevole secondo lui. I problemi dei pazienti filtrati attraverso la lente comportamentista hanno senso secondo lui. La seducente semplicità del modello e delle sue pratiche gli forniscono un'arma con cui combattere ciò che gli sembra più spaventoso: il relativismo e l'incertezza. Pur apprezzando la necessità di Phillip di ancorare il suo pensiero e la sua pratica ad una modalità ampiamente accettata, mi preoccupa la sua rigidità. Anche se nella mia giovinezza professionale sono stato impressionato da comportamentisti di fama mondiale che mi hanno fatto apparire tutto facile e che ho disperatamente imitato mentre ero alla ricerca della mia personale base clinica, questo studente mi irrita, e non so esattamente il perché. È forse perché la sua consapevolezza sa di arroganza e di privilegio non ancora acquisiti, o perché la sua apparente precocità clinica è spiazzante per i suoi compagni di corso, che a loro volta stanno faticando a trovare i propri punti di riferimento teorici? È perché la sua rigidità mi ricorda la mia di tanti anni fa? O forse è perché è così energico e zelante, mentre io ho perso il contatto con questi sentimenti nel corso di anni di pratica clinica? E se questo fosse un caso (non così) semplice di contro-transfert tra supervisore ed allievo? Forse, è un poco di ciascuna di queste ipotesi. Come suo supervisore clinico e mentore, non sono del tutto sicuro di quale debba essere il mio atteggiamento nei confronti di Phillip. Dovrebbe essere quello del mentore empatico che lo guida in modo solidale lungo il percorso scelto? Oppure dovrebbe essere quello del provocatore, sfidandolo così a fare qualche passo indietro rispetto alle sue amate convinzioni, almeno abbastanza a lungo da prendere in considerazione altri modi per concettualizzare i casi e costruire piani di trattamento? E cosa dovrei fare con il mio crescente sentimento di irritazione nei confronti di Phillip? Dovrei esprimerlo direttamente davanti a lui, ricercare la supervisione clinica, o semplicemente dovrei annotare questi pensieri per voi, colleghi e terapeuti, nella speranza che così facendo avrete l'opportunità di riflettere su queste domande quando vi confronterete con casi simili a quello di Phillip? *** Devo confessare che, in privato, trovo ancora affascinante il comportamentismo; le sue promesse e le sue pratiche sono convincenti. Ho usato tranquillamente i suoi metodi nel corso degli anni in momenti selezionati con pazienti specifici, soprattutto bambini, ma preferisco vedermi e presentarmi come un clinico che si trova a suo agio con il relativismo, l'incertezza e gli inspiegabili misteri che fanno parte della relazione psicoterapeutica. Magari fosse così semplice!


Copyright Psychotherapy.net LLC 2022, translated and reprinted with permission.

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