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I comfort di ciò che conosciamo

Aggiornamento: 9 nov 2022


Titolo originale: The Comforts of What We Know Lei entra nello studio e prende posto: piedi rannicchiati sulla sedia, dita che accarezzano dolcemente il morbido cuscino sulle ginocchia, occhi fissi su di me, in attesa. Mette il telefono in modalità vibrazione, lo ripone nella borsa su una sedia libera lì vicino. Una bottiglia d'acqua è posta accanto ai fazzoletti su un tavolino. Sistema un cuscino per sostenere la schiena e si mette comoda, con gli occhi rivolti alla metà del muro alla mia destra, in attesa. Altri pazienti mi salutano con una stretta di mano o un abbraccio, fanno commenti sul tempo e sui pendolari, oppure si offrono di pagare subito la seduta. I rari casi di persone che si siedono periodicamente su sedie diverse e variano la loro routine, sono quasi ugualmente prevedibili. Questi comportamenti sono tentativi di adattarsi allo spazio e, in ultima analisi, di contribuire alla transizione verso il difficile lavoro della psicoterapia. Mettersi a proprio agio è spesso il modo in cui ci si prepara ad essere scomodi. Ho i miei metodi di presentarmi e di iniziare una seduta, cosa che serve più o meno allo stesso scopo. Modelli simili sono evidenti alla fine di ogni seduta, quando torniamo al mondo esterno e ci impegniamo di nuovo con quelle parti di noi stessi che ci sono familiari e che sono essenziali per affrontare le sfide quotidiane. Dopo tutto, siamo creature abitudinarie, attaccate alle nostre consuetudini ed ai nostri rituali. È nelle nostre prevedibili routine che ci sentiamo più a casa. Cambiare i modelli di comportamento richiede di tollerare di essere a rischio e vulnerabili. Se la teoria dell'attaccamento mi ha insegnato qualcosa, è che gli esseri umani hanno bisogno di sentire un forte legame con una casa sicura per correre effettivamente dei rischi al di là di quella casa stessa. La terapia è sempre un'impresa rischiosa. Varcando la soglia della porta del terapeuta il paziente lancia il dado, e la scommessa - quello che potrebbe perdere - è molto più alta della parcella del terapeuta. Si apre al disagio nella speranza di aumentare la gioia. E' un rischio che non consiglierei mai di accettare a un paziente se si trattasse di gioco d'azzardo! Quando noi (quelli che non hanno problemi di gioco d'azzardo, ovviamente) giochiamo alle slot e perdiamo, quella perdita brucia per un istante, ma di solito non ha un impatto duraturo sulla nostra vita. Il denaro perso non è quello necessario a pagare il mutuo o sfamare una famiglia. Il paziente, tuttavia, non gioca d'azzardo con fondi accantonati per il divertimento. Il paziente rischia di sconvolgere l'ordine della sua vita e, quando una seduta è finita, potrebbe non essere in grado di dimenticare questo sconvolgimento avvenuto nello studio del terapeuta. Fortunatamente, le probabilità di vincere il jackpot terapeutico sono astronomicamente maggiori che in qualsiasi gioco d'azzardo! Tali giochi richiedono che il giocatore si arrenda ai capricci del destino, mentre la terapia impegna la volontà e responsabilizza il paziente. La ricompensa non è solo una via per la felicità, ma è di per sé fonte di gioia. Porto sul lavoro la mia conoscenza, comprensione e disciplina professionale. Porto anche il mio ego. Mi piace pensare a me stesso come ad una persona creativa. La conversazione è sempre stata per me una forma d'arte che implica impegno, intuizione e capacità di riconoscere e articolare le connessioni tra le cose. Ciò che l'esperienza mi ha insegnato nel corso degli anni è che queste qualità artistico-creative possono essere grandi risorse nella psicoterapia, ma raramente sono sufficienti a garantire un risultato positivo per i miei pazienti. Infatti, devo ammettere che la creatività può anche essere un ostacolo al progresso del paziente. Posso essere intellettualmente ed emotivamente entusiasta di un cambiamento o di un'interpretazione, assolutamente convinto che si tratti di un intervento utile e praticabile, eppure potrebbe, in verità, essere di ostacolo o addirittura dar luogo a una rottura terapeutica. L'intervento creativo, nato e realizzato principalmente come prodotto dei miei stessi moti d'entusiasmo, può non essere in sintonia con le immediate esigenze di sicurezza del paziente, invitandolo implicitamente ad un cambiamento a cui non è ancora pronto. Le persone creative tendono a spingersi oltre i confini. Cercano le regole che possono essere proficuamente violate. Un artista riconosce l'utilità e il valore della struttura, ma cerca regolarmente opportunità per allontanarsene al servizio di un'espressione artistica più estesa. Un veterano rientrato dal fronte è stato mandato da me per il trattamento di EMDR per affrontare il disturbo da stress post-traumatico (PTSD) causato dal suo dispiegamento. Man mano che procedevamo attraverso le prime fasi dell'EMDR (impegno, raccolta della storia e psico-educazione) abbiamo identificato molte questioni correlate, e ben presto è diventato chiaro che il paziente ed io avevamo collaborato per evitare i traumi. Mi sono lanciato in una lunga discussione su questioni attuali, molte delle quali ho collegato ad arte ai sintomi del trauma, giustificando il mio ritardo nell'avviare il principio fondamentale dell'EMDR: la stimolazione bilaterale (BLS). Infine, in una sessione iniziata con la realistica descrizione da parte del paziente di una recente perdita, mi sono astenuto dal rispondere con l'esplorazione. Gli ho subito chiesto di identificare le sue emozioni e la loro espressione somatica. Abbiamo poi utilizzato la BLS per elaborare e ridurre la sua reazione. Alla fine della seduta, basandosi sulla fiducia nata da quel successo, il paziente era disposto ad affrontare direttamente il traumatico dispiegamento, mentre io ero pronto ad avvicinarmi al modello EMDR. Sia il terapeuta che il paziente hanno bisogno di sentirsi a proprio agio per svolgere la terapia in modo ottimale. L'agio del terapeuta, tuttavia, deve anche promuovere l'agio e il progresso del paziente. Una "evidence based practice" (EBP) applicata in modo appropriato dovrebbe contribuire a garantire questo equilibrio, fornendo uno schema per il processo clinico ed il contenimento dell'imprevedibilità che accompagna gli indomiti venti della creatività. Le analogie tra i comportamenti che mettono a proprio agio il paziente e quelli che, per il mio ego artistico, possono sembrare modelli di intervento ripetitivi, possono in realtà essere fondamentali per l'efficacia dell'EBP. Ciò che ritengo manchi dell'intimità organica che si ritrova nel dialogo non strutturato, può in realtà andare incontro al paziente esattamente nel punto in cui si trova e fornirgli una componente essenziale della propria autonomia: la prevedibilità. Mi sforzo di massimizzare la prevedibilità di un approccio strutturato nel mio studio rivelando inizialmente gli elementi strutturati della terapia (durata, partecipanti, struttura sessione per sessione), condividendo la logica dell'EBP, usando coerentemente la stessa terminologia e, infine, utilizzando regolarmente le stesse unità di misura. Lavorare con l' EBP o con un'altra metodologia terapeutica strutturata offre un'opportunità maggiore di rendere la terapia trasparente rispetto a quando lavoro in modo meno strutturato. Una maggiore trasparenza promuove la collaborazione e aiuta il paziente ad appropriarsi dei risultati. Le abitudini e i modelli di comportamento esposti all'inizio di ogni seduta mi ricordano quanto la terapia possa essere impegnativa per il paziente e quanto il cambiamento possa essere difficile per tutti noi. Creare opportunità di cambiamento richiede la creatività e la disponibilità del terapeuta ad assumersi dei rischi insieme al paziente, che è disposto a farsi aiutare nel trovare un equilibrio e a perseverare nonostante il disagio. Questa capacità di perseverare è radicata nelle strutture sottostanti che forniscono le basi per la sicurezza, l'incolumità e l'autonomia.

Copyright Psychotherapy.net LLC 2022, translated and reprinted with permission.

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