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Fare rivivere il vero sé: perché dovremmo tutti leggere Karen Horney



Titolo originale: Reviving the Real Self: Why We Should All Be Reading Karen Horney

"Chi sono io?" Chiese Erica stancamente. "Quando mai mi sentirò bene con me stessa? Perché sembra così facile per tutti gli altri?"


Erica era in terapia da circa un anno e riportava stati d'animo depressivi, ansia e difficoltà relazionali. Nelle nostre prime sedute, il suo racconto era rimasto superficiale. Parlava delle fatiche della sua vita quotidiana. Ma anche quando descriveva situazioni stressanti, il suo racconto mancava di profondità emotiva.


Tutti ci siamo confrontati con una certa resistenza. Sappiamo tutti che dobbiamo rispettare il bisogno del paziente di sentirsi al sicuro, che dobbiamo costruire la forza dell'ego e creare curiosità. Infatti, questo è stato il modo in cui abbiamo lavorato all'inizio. Io ascoltavo e lei parlava. E non siamo andate troppo in profondità. Ma, alla fine, ho capito che il suo bisogno di rimanere in superficie e la mancanza di vitalità emotiva erano più profondi dell'ansia per ciò che avrebbe scoperto.


Erica era alienata dal suo vero sé a causa del clima culturale. Come terapeuti, sappiamo che dobbiamo rimanere vigili sull'impatto dell'ambiente sociale. I sintomi della psicologia individuale non si manifestano dal nulla, bensì emergono all'interno di un contesto.


L'atmosfera sociale di oggi è piena di foto con filtri e di personal branding, dove tutti cercano di essere notati, dove il senso viene lentamente equiparato alla quantità di "mi piace" e alla portata dei post sui social media, dove c'è un declino nelle interazioni significative e dove le persone sono sempre più suscettibili di diventare qualcuno che non sono al fine di ricevere conferme. L'orgoglio e l'autostima si stanno lentamente dissolvendo. Ciò che manca viene cercato proprio nel luogo in cui si è perso. La conferma viene cercata all'esterno, nei "mi piace" ai post dei social media, in qualcosa che dia una rapida conferma emotiva. Ma quel senso di conferma non è destinato a durare.


Karen Horney parlava della tirannia dei dovrei. Secondo lei queste erano richieste irrealistiche che venivano poste (dovrei essere questo, dovrei fare quello) al nostro sé per diventare quello che lei chiamava il sé idealizzato: un'immagine di perfezione che non poteva essere raggiunta, un paragone che schiacciava la capacità del sé reale, del sé spontaneo, del sé vitale, di perseguire una naturale crescita personale.


Il sé idealizzato inibisce il vero sé e gli impedisce di fiorire. Blocca anche la capacità dell'individuo di realizzare e usare quelle che Karen Horney chiamava forze costruttive, (le nostre uniche forze e doti) per andare verso ciò che offrirebbe un senso di significato e di orgoglio, un senso di vitalità.


In un mondo pieno di personal branding e di profili social inventati, in un mondo in cui il nostro aspetto può essere alterato, le persone stanno restringendo i loro corpi, ridefinendo le loro forme, spazzando via le normali linee di espressione dai loro volti. Stiamo lentamente perdendo la capacità di sapere chi è veramente qualcuno. Come possiamo, come terapeuti, aiutare i nostri pazienti, in particolare i più giovani, a rimanere connessi con il loro vero io? Credo che le teorie di Karen Horney ci offrano una speranza in questo senso.


I pazienti, molto probabilmente, non entrano nello studio dicendo: "Ho completamente dimenticato chi sono, per poter essere chi pensavo di dover essere. Sono diventato quello che mostro al mondo. Ho finto per così tanto tempo che non so più cosa sia reale".


Come nel caso di Erica, molte volte i sintomi sono molto più generici, ma ci sono indicazioni nella narrazione su un'assenza di vera connessione e vitalità, di senso personale integrato.


Potrebbe esserci una perdita dell'orgoglio, il cui posto viene preso da discorsi su aspirazioni frustrate e irrealistiche. A volte potremmo sentire idee gonfiate sul sé che sono vuote di qualsiasi intento di realizzazione o connessione emotiva. Non possiamo essere orgogliosi di qualcosa che non siamo. E l'orgoglio autentico si rivela non attraverso l'autocompiacimento, ma attraverso la riverenza e l'umiltà, rimanendo colpiti dalla vita e dagli altri, e avendo la forza emotiva di dubitare di se stessi.


Il vero sé è il sé prospero, il sé spontaneo, la parte che esiste in tutti noi e che è reale. È da qui che provengono la vera autostima, l'efficacia, il senso di competenza, l'orgoglio e il significato.


A volte dobbiamo aiutare i pazienti "disadattati" che sono stati condizionati a credere di dover essere qualcosa che non sono. Una delle idee principali di Horney sulla terapia è stata quella di sbloccare le forze costruttive. Credeva che il disagio psicologico si verificasse quando le nostre forze naturali si bloccavano, rendendoci incapaci di usarle.


Così, è da qui che ho iniziato con Erica. Ho cercato le sue forze innate e dinamiche e poi ho lavorato con lei per scoprirle e nutrirle. Ci è voluto un po' di tempo, ma sono riuscita ad aiutare Erica a riconoscere le sue forze.


Non possiamo coccolare i pazienti dicendo loro cose carine per farli sentire meglio. Se vogliamo che trovino ciò che è reale dentro di loro, allora dobbiamo ascoltarli attentamente e aiutarli a scoprirlo. Cosa rende questa persona unica? Quali sono le sue doti personali? Cosa resta nascosto, ma vivo, nel profondo?


Erica era artistica. Suonava il pianoforte, cantava, scriveva musica e dipingeva. Era anche molto brava con i numeri. Si occupava da sola della sua contabilità e anche di quella degli amici. Mettere insieme dettagli meticolosi era qualcosa in cui non solo era brava, ma che le piaceva anche moltissimo. Amava organizzare. Non aveva mai considerato queste caratteristiche come qualità.


Era anche piuttosto atletica, ma sentiva di non essere così tonica come molte altre donne, soprattutto quelle che guardava su internet. Abbiamo parlato molto degli aspetti psicologici dell'esercizio fisico, del sentirsi forti e sani, del trovare un vero senso di orgoglio nel portare a termine allenamenti difficili.


Abbiamo passato mesi a parlare dei suoi sentimenti sui suoi punti di forza, su chi esistesse sotto tutti quei "dovrei". Divenne chiaro che non riconosceva le sue doti perché continuava ad aspirare a raggiungere un sé idealizzato, un'immagine irraggiungibile che corrispondeva alla vita immaginata delle persone che vedeva sui social media.


Mentre seguitavamo a esplorare le strade per farle sentire i suoi talenti e le sue doti, da cui poteva trarre una reale fiducia, lei mostrava una maggiore spontaneità nelle sue scelte. Ha deciso di fare un passo indietro per ottenere una laurea in sanità pubblica. Voleva fare ricerca, una ricerca che le permettesse di combinare la sua creatività con il suo amore per i dettagli meticolosi. Voleva dare il suo contributo al mondo.


Questo processo è stato fare due passi avanti e un passo indietro. È una sfida aiutare i pazienti a mantenere i loro punti di forza mentre sono ancora immersi e influenzati dal mondo esterno. Ma, ad ogni passo avanti, era un po' più vicina a chi era e un po' più lontana da chi pensava di dover essere.


Forse è giunto il momento per tutti noi di rivisitare i grandi contributi di Karen Horney. Per coloro che non hanno familiarità con il suo lavoro, consiglio vivamente Nevrosi e sviluppo della personalità, dove troverete elaborate le idee sopra citate.


*Le informazioni su Erica sono state modificate per proteggerne l'anonimato.


Copyright Psychotherapy.net LLC 2022, translated and reprinted with permission.