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Essere compagni di viaggio ai tempi della pandemia

Aggiornamento: 9 nov 2022


Titolo originale: Fellow Travelers During the Coronavirus Pandemic Mio padre Irvin Yalom usava il termine "compagno di viaggio" per descrivere un'interpretazione esistenziale del rapporto terapeuta-paziente oppure medico-paziente. Affine a questa idea è la concezione secondo cui ci troviamo tutti nella stessa realtà esistenziale, compreso il fatto che siamo tutti esseri mortali e che lottiamo con le stesse paure e ansie. Sì, noi come terapeuti abbiamo certe capacità per aiutare i nostri pazienti ad affrontare le vicissitudini della vita, ma noi stessi non ne siamo affatto immuni! Lottiamo insieme ai nostri pazienti, affrontando i traumi familiari, le rotture di relazione, lo stress finanziario e la ricerca di un senso. La storia della nostra professione, a partire da Freud, un neurologo formatosi nella Vienna Vittoriana, ha contribuito a separare i terapeuti dai pazienti. Questo è vero sia che adattiamo consapevolmente il modello della "tabula rasa" psicoanalitica, sia le diverse varianti che si sono insinuate in altri approcci con parole chiave come "limiti". Questi costrutti possono essere utili - con la dovuta moderazione - ma tendono a separarci dai nostri pazienti e a farci diventare "gli esperti", come se fossimo in qualche modo al di sopra della loro realtà. Una cosa che ci ha fatto capire questa pandemia è che i terapeuti non vivono in un mondo privilegiato. Siamo nella stessa identica situazione dei nostri pazienti: temiamo per noi stessi, per i nostri cari e per il mondo in generale. Siamo preoccupati per la nostra salute e la nostra sicurezza finanziaria, e siamo turbati dal clima di incertezza che stiamo attraversando collettivamente. Non sappiamo cosa ci porterà il domani o il giorno dopo, e questa incertezza è estremamente inquietante. Se davvero siamo compagni di viaggio, allora qualcuno potrà domandarsi: "Come possiamo aiutare i nostri pazienti, se siamo alle prese con gli stessi problemi che affliggono anche loro?" È una domanda seria e valida, ma presuppone che, per poter essere d'aiuto, dobbiamo in qualche modo aver superato i nostri problemi, oppure quelli inerenti alla condizione umana. In qualche modo, questo richiama il concetto della psicoanalisi del "paziente pienamente analizzato", oppure altre idee simili che si ritrovano nei sistemi religiosi o nei metodi di auto-aiuto in cui qualcuno raggiunge l'illuminazione e risolve completamente i suoi conflitti, o qualche altra sciocchezza del genere. Sì, ci sono alcune persone che sembrano avere una buona prospettiva sulle cose, che di solito emanano gentilezza e disinvoltura, e che generalmente sembrano affrontare la vita con equilibrio. Al contrario, altri sembrano immergersi in uno stato di perpetuo tormento psicologico. Ma la vita è mutevole, e nessuno è completamente al riparo. Prendete un individuo felicemente sposato, apparentemente sicuro: considerate il caso in cui il coniuge si ammali o muoia, oppure che la sua sicurezza economica o fisica sia lacerata da un virus, da una guerra o da una rivoluzione, e poi vedete come se la cava. La maggior parte non se la caverà così bene. Ma sto divagando. Tornando all'idea dei compagni di viaggio... non c'è niente di meglio di una pandemia per metterci allo stesso livello dei nostri pazienti! Anche solo fingere il contrario, non riconoscere ai pazienti che viviamo sullo stesso pianeta, che stiamo attraversando questa crisi epica insieme a loro, mi sembra del tutto falso. In parole povere, noi terapisti non siamo superuomini. La verità empiricamente convalidata è che la relazione che guarisce funziona ancora. E la relazione deve essere genuina, cosa che, oserei dire, non è possibile con i superuomini. Non possiamo e non vogliamo essere completamente al di sopra dei pazienti, ma quando siamo nei nostri studi (o sui nostri schermi) con loro, dobbiamo sforzarci di essere abbastanza al di sopra per quei 50 minuti in modo da poter mettere da parte le nostre preoccupazioni e occuparci dei loro bisogni. Non dobbiamo nemmeno farlo in modo perfetto - dobbiamo solo fare del nostro meglio per usare una frase di Winnicot, dobbiamo essere un terapeuta "abbastanza bravo". I principi di base sono validi: noi siamo lì per aiutare i nostri pazienti. Le decisioni sull'apertura, come sempre, devono essere basate su ciò che è meglio per loro. In generale, sembra che riconoscere che le nostre vite sono sconvolte, che siamo preoccupati, timorosi o ansiosi per questa pandemia possa essere terapeutico, nel senso che normalizzerà le esperienze dei nostri pazienti. Per coloro che sono isolati in questo periodo, si aggiunge al loro senso del "ci siamo dentro tutti insieme". I terapeuti spesso temono che l'apertura di sé stessi possa indurre i clienti a voler indagare sempre di più sul loro conto, ma questo accade raramente, perché loro sono lì per affrontare le proprie ansie. Vogliono solo sapere che siamo realmente. Ma se vogliono spostare l'attenzione su di noi, anche in questo caso dovremmo preoccuparci di ciò che è più utile per loro e, come sempre, concentrarci sul processo, non sul contenuto delle loro richieste. Per esempio, potreste dire: "Apprezzo che mi chiedia come sto; è dimostrazione di empatia, che è una delle sue grandi qualità. Me la sto cavando al meglio delle mie possibilità, ma è davvero spaventoso quello che sta succedendo al mondo". E poi vedere come rispondono e dire qualcosa come: "Com'è stare con me, e provare preoccupazione per me? Quali reazioni ha avuto alla mia risposta? Oppure "Sono un po' sotto shock. Non avrei mai immaginato di vivere una cosa del genere. E, francamente, il mio lavoro con pazienti come lei è una cosa che mi tiene ancorato alla realtà; mi aiuta sapere che c'è qualcosa che posso fare per essere d'aiuto". Poi aspettate, vedete come rispondono, oppure chiedete loro come la vostra esternazione li ha fatti sentire. Questo è solo un esempio; questo scambio ovviamente varia a seconda del paziente e di tanti altri fattori, tra cui la relazione terapeutica e la realtà del momento (il paziente ha perso il lavoro? Conosce persone che sono malate, morte o che stanno morendo a causa del COVID-19?) Naturalmente non si tratta soltanto di uno scambio; potrebbe essere una conversazione molto più lunga, o qualcosa a cui voi due vorrete ritornare con l'evolversi di questa crisi. Siamo compagni di viaggio. E in questo viaggio abbiamo scelto di essere guaritori. Non stregoni, non maghi, ma psicoterapeuti, che si occupano della psiche delle persone. I pazienti potrebbero vedere in noi la forza stabilizzatrice e la voce dell'equilibrio in questi tempi di terrore. Certamente lo vorremmo anche noi, per noi stessi. Lasciamo che questo sia un obiettivo cui aspirare, ma anche che ci sia compassione reciproca per la nostra comune condizione di esseri umani.


Copyright Psychotherapy.net LLC 2022, translated and reprinted with permission.

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