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Dimostrare o raccontare: la comunicazione terapeutica come rappresentazione teatrale



Titolo originale: Show or Tell: Therapeutic Communication as Theater


Una volta uno stagista mi ha detto: "Sottolineate sempre l'importanza di fare degli esempi. Vedo una giovane donna che si lamenta dell'ansia, ma non vuole o non può fornire un esempio. Dice solo che succede spesso, e quando le chiedo cosa succede, risponde solo ansia".


Ci sono tre modi in cui i pazienti comunicano con i terapeuti: il giornalismo, la poesia e il teatro. Il giornalismo implica la comunicazione di informazioni. Il giornalismo è spesso usato per bloccare i legami relazionali riempiendo lo spazio di discorsi che non sono progettati oppure non corrispondono a quella particolare relazione. Il giornalismo spesso rafforza l'aspetto professionale della relazione (è come riferire i sintomi a un medico) a scapito degli aspetti terapeutici della relazione (che comportano invece lo svelarsi senza troppi gusci cognitivi). Una certa dose di giornalismo è necessaria alla cornice professionale iniziale per decidere se procedere o meno con la terapia.


La poesia, spesso frutto di libera associazione, oppure storia o pensiero vagante senza apparente ragione, ha elementi metaforici. Il terapeuta si chiede perché, fra tutte le milioni di cose che il paziente avrebbe potuto dire in quel momento, ha scelto proprio quella; di solito, la risposta riguarda qualche aspetto dell'ambiente che al paziente rimanda la propria storia. Per esempio, la paziente del tirocinante potrebbe aver detto: "Beh, una volta mi sono sentita in ansia quando stavo andando dal dentista per un controllo. Non avevo paura del dolore fisico. Avevo paura di essere rimproverata per non aver usato il filo interdentale abbastanza spesso". Il terapeuta potrebbe ora considerare questa storia come una metafora dell'esperienza della paziente con il terapeuta stesso. Le stava forse chiedendo di aprire la bocca per scoprire cosa aveva fatto di sbagliato, in modo da poterla incolpare dei suoi stessi problemi? Aveva già fatto qualcosa del genere? Se sì, è necessario elaborare questo scambio con la paziente, prima che lei possa considerare il suo interessamento come positivo e curioso.


Il teatro si riferisce alla comunicazione che viene mostrata, piuttosto che raccontata, al terapeuta. Spesso si tratta di una forma di identificazione proiettiva, in cui il paziente mostra al terapeuta ciò che sta provando facendoglielo sperimentare direttamente. Questo non è intenzionale, naturalmente; è una funzione del modo in cui i sentimenti vengono espressi all'interno di modelli comportamentali, come ad esempio il bullismo e l'intimidazione. Se un paziente vuole evitare di sentirsi intimidito, può fare il prepotente con il terapeuta in modo da farlo sentire intimidito a sua volta, perché può darsi che l'unico contrappunto che conosce all'intimidazione sia il bullismo. La comunicazione teatrale nasce anche dal principio generale che le variabili che controllano il comportamento in una situazione sono spesso le stesse che lo controllano in un'altra. La comunicazione all'interno della terapia è spesso ambigua, il che può favorire questo fenomeno. La mia opinione è che una buona terapia dipende dall'osservazione del fatto che i pazienti complicano i rapporti terapeutici nello stesso modo in cui complicano gli altri rapporti.


Nel caso dello stagista, la paziente sta mettendo in atto qualcosa sulla sua ansia rifiutandosi di esplorarla. Il terapeuta potrebbe dire qualcosa del tipo: "Vivere sentendosi a disagio, senza ricordi, senza immagini di quali pericoli si nascondono e senza memoria di ciò che è accaduto in situazioni simili nel passato - vivere con i tappi nelle orecchie, una benda sugli occhi e suoni fuorvianti - sembra snervante". Il terapeuta potrebbe suggerire di lavorare prima su ciò che sembra tanto pericoloso nel lasciar vagare l'immaginazione.


Un altro paziente è giunto in terapia perché si è reso conto di non avere veri amici, ma solo conoscenti. Il terapeuta lo ha invitato a considerare quale persona tra i suoi conoscenti avrebbe avuto più probabilità di diventare un amico, in modo da poter esplorare ciò che gli impedisce di fare mosse di socializzazione in un contesto specifico. Il paziente ha insistito sul fatto che nessuno dei suoi attuali conoscenti poteva diventare un amico, così hanno discusso di situazioni astratte e di amici ipotetici. Il terapeuta potrebbe aver detto qualcosa del tipo: "Mi chiedo se ciò che ti impedisce di aprirti a me ti impedisce di aprirti anche agli altri". Questo si sarebbe basato sull'idea che il rifiuto di nominare un conoscente specifico come potenziale amico non era una forma di giornalismo sulle persone della sua vita, ma una comunicazione teatrale su ciò che lo ostacolava.


Un uomo narcisista ha iniziato la terapia solo dopo aver letto molti libri a riguardo, libri tecnici tipicamente scritti per i terapeuti. Tutto ciò che il suo nuovo terapeuta diceva o faceva era sottoposto a controlli e critiche. Per esempio, il terapeuta gli ha chiesto come i suoi amici e la sua famiglia lo abbiano ripetutamente deluso. Lui ha citato l'ampia letteratura sugli svantaggi di porre domande rispetto alle osservazioni e alle affermazioni sull'io. Il terapeuta ha inizialmente considerato questa modalità come una forma giornalismo, ovvero informazioni sulla sua vasta conoscenza della terapia; ma, quando il paziente ha detto che l'aspetto irrequieto del terapeuta lo ha fatto arrabbiare, lo ha interpretato come uno sforzo intimidatorio. Potrebbe essere stata una situazione non congeniale a questo terapeuta in particolare, ma potrebbe aver aiutato a vedere la sua performance come una forma di teatro. "Sembra che lei mi stia mostrando cosa significa essere costantemente valutato e costantemente criticato". L'idea sarebbe quella di farlo sentire compreso e, cosa altrettanto importante, di mostrargli che ci può essere un modo per relazionarsi tra loro come compagni di squadra piuttosto che nelle vesti di giudice e partecipante. Potrebbe risultare che il paziente è abituato a relazionarsi agli altri solo in qualità di oggetto di disprezzo oppure oggetto di ammirazione, e potrebbero sviluppare insieme un accordo terapeutico circa il relazionarsi in modo diverso.


I terapeuti familiari hanno sviluppato la tecnica della messa in atto. Invece di parlare solo di litigi coniugali o di sforzi per disciplinare un bambino, il terapeuta chiede alla coppia di litigare per qualcosa oppure chiede al bambino di comportarsi male in modo che i genitori lo possano disciplinare proprio lì, nello studio. Questo permette di intervenire in tempo reale sulle problematiche relazionali. Inoltre, mostra alla coppia o alla famiglia che i litigi e i comportamenti scorretti sono più controllabili e più tollerabili di quanto si possa pensare. L'idea essenziale della terapia relazionale è che il paziente sta già eseguendo degli interventi. Il terapeuta deve essere aperto ai comportamenti fastidiosi del paziente, in quanto sono una forma di comunicazione per mettere a frutto questa idea.


In qualità di professionisti siamo spesso ben preparati ad impegnarci in una comunicazione giornalistica coi pazienti sui loro sintomi e sulle loro situazioni. Come terapeuti, siamo spesso ben preparati ad ascoltare le metafore che esprimono gli schemi psicologici dei pazienti o le loro esperienze su di noi. Alcune modalità comunicative dei pazienti possono essere dirompenti per i nostri programmi, ma invece di trattarli come una forma di resistenza o di non conformità, possiamo rafforzare l'alleanza trattandoli come sforzi teatrali per mostrarci, piuttosto che dirci, cosa sta accadendo.


Copyright Psychotherapy.net LLC 2022, translated and reprinted with permission.

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