Cosa blocca la creatività

Titolo originale: What Blocks Creativity
Il nostro progetto creativo originario era il desiderio di amare ed essere amati dalle nostre madri?
Cosa succede se quel progetto creativo fallisce e tua madre non è in grado di riconoscere, rispondere e ricambiare il tuo amore?
Mi piace la scrittura di Harold Searles. Uno dei suoi scritti, “The Patient as Therapist to His Analyst” di Countertransference and Related Subjects (1979), tratta specificamente dell'idea di Searles che il paziente non sta bene in relazione a come i suoi originali sforzi terapeutici (secondo Searles, il desiderio di amare le nostre madri) siano falliti.
Il saggio di Searles mi è venuto in mente di recente nel mio lavoro con le vittime di un trauma.
Nel mio studio privato ho lavorato con diverse persone che hanno subito un trauma precoce e prolungato. La psicoterapia spesso riesce ad aiutare questi pazienti a comprendere meglio ciò che è accaduto nella prima parte della loro vita. Permette di riflettere e di costruire idee e pensieri che spiegano in qualche modo ciò che è successo. Spesso, fa luce sul motivo per cui sono stati attaccati a comportamenti autodistruttivi per tutta la vita.
Nella psicoterapia, i periodi di auto-limitazione e di comportamento autodistruttivo vengono esplorati e il paziente diventa spesso più rilassato e sicuro di sé. Diventa più capace di pensare e riflettere su sé stesso e di contribuire in modo costruttivo al lavoro. Ma, quando la seduta termina, si tirano indietro, si isolano e spesso non riescono a lavorare su ciò che hanno fatto nella terapia.
Alla seduta successiva ci spiegano che non hanno voluto pensare, tra una seduta e l'altra, al lavoro che stavamo facendo per paura che il lavoro non avesse avuto gli effetti positivi previsti o sperati. Così, si tirano indietro o si chiudono.
Una paziente, una donna particolarmente creativa che chiamerò Mo, aveva idee variegate e una serie di progetti che la interessavano, che avrebbe voluto sviluppare e su cui avrebbe desiderato lavorare. Ma il modello a cui Mo era attaccata era non spingersi al di là del pensare brevemente ai suoi progetti, per poi accantonarli. L'atteggiamento di Mo nei confronti della sua creatività conteneva una potente dinamica repressiva.
Sono giunto a considerare questa dinamica repressiva, questo atteggiamento limitante nei confronti di sé stessa e delle sue idee, come un riflesso del fallimento del suo primo progetto creativo: il desiderio di Mo di amare ed essere amata da sua madre. Il rapporto di Mo con la madre non è mai evoluto in un rapporto d'affetto reciproco. La sua sensazione era che la madre potesse essere in uno stato di depressione post-parto non diagnosticata. Pare che ci fossero problemi domestici nella prima fase della vita di Mo. In parte a causa di ciò è stata spesso trascurata e abbandonata per lunghi periodi. Il suo desiderio d'amore è stato accolto con rabbia, rifiuto e resistenza.
Sono arrivato a capire questo come parte del transfert alla terapia, e poi ho cominciato a pensare che potesse essere inteso come la descrizione del rapporto che Mo aveva con la propria creatività. Anche se Mo poteva avere idee molto interessanti che catturavano la sua immaginazione durante le sedute, in seguito le abbandonava e le ignorava, per poi riprenderle con esitazione alla seduta successiva.
Questo mi ha portato a pensare al modo in cui la nostra creatività, intesa non solo come la nostra capacità di avere un'idea, ma più in particolare la possibilità di seguire le nostre idee, potrebbe essere legata alle nostre originali relazioni materne.
In psicoterapia, un paziente inizia a sviluppare una maggiore comprensione di sé stesso e del suo passato. Diventa più capace di riflettere e di sviluppare atteggiamenti benevoli e premurosi nei confronti di sé stesso e degli altri durante le sedute. Ma, al di fuori della terapia, molti pazienti non riescono a sostenere questi atteggiamenti. Ritornano ad una posizione in cui si mettono a spese degli altri e rimangono fermi ad una limitata espressione della creatività. L'atteggiamento che hanno sulle proprie idee creative contiene impulsi vanificati, complicati e distruttivi.
Hanno trasferito al proprio io creativo espressioni del senso di fallimento e di delusione che hanno sperimentato nel loro rapporto materno originario? Trattano la loro creatività come un oggetto inferiore da abbandonare a piacimento? Il mio lavoro con Mo mi ha portato a pensare che una conseguenza del trauma infantile e dell'abbandono possa riflettersi nel modo in cui le persone lottano per portare avanti i loro progetti creativi in età avanzata.
Questo potrebbe valere anche per i vostri pazienti? La loro creatività è rimasta intrappolata nel modello del loro fallimento creativo iniziale? Invece di scrivere i loro romanzi o le loro memorie o anche altri progetti creativi meno nobili, continuano a lottare con gli inizi falliti? Il mondo relazionale repressivo dei primi anni di vita è quello che sono destinati a riversare e riproporre nei loro atteggiamenti verso di voi e verso la terapia?
È possibile che, attraverso l'impresa terapeutica creativa condivisa, entrambi possiate vedere i problemi che hanno vissuto nel loro rapporto con la creatività come un riflesso dei problemi delle loro prime relazioni? Potreste usare queste informazioni o intuizioni per aiutarli a cambiare e migliorare il loro rapporto con la loro creatività?
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