Consigli per lavorare con pazienti vegani

Titolo originale: Tips for Working with Vegan Clients
Cosa fate quando un potenziale nuovo paziente vi chiama e chiede se lavorate anche con i vegani? Forse dite di no perché non l'avete mai fatto prima (o non sapete di averlo fatto), e comunque non ne sapete molto sul veganismo. Forse dite di sì, ma non siete sicuri di cosa potrebbe comportare lavorare con un paziente vegano, così pensate che farete di testa vostra sperando nel meglio. Inoltre, è probabile che nessuno vi abbia mai fatto questa domanda. Penso che sia giusto dire che la maggior parte di noi non ha esperienza su ogni singola questione, né su ogni singola tipologia di paziente. Tuttavia, dato che il veganismo è in costante crescita, diventa sempre più probabile essere contattati da pazienti vegani.
L'unica domanda che mi viene continuamente posta è: mangiare una dieta priva di prodotti animali di per sé rende una persona vegana? In breve, la risposta è no. Più precisamente, mangiare solo alimenti di origine vegetale è una parte importante dell'essere vegani, ma il veganismo non riguarda solo ciò che la gente mangia; riguarda il modo in cui vengono considerati e trattati tutti gli animali, che siano esseri umani oppure no. Le persone che seguono uno stile di vita vegano non possono fare a meno di pensare allo sfruttamento degli animali perché ne sono continuamente esposte. Sedersi accanto a persone che mangiano carne, camminare dietro a qualcuno che indossa pellicce o pelle, ascoltare conversazioni su battute di caccia e pesca o visite a circhi e zoo, sono tutti richiami costanti. Nella mia esperienza clinica, il pensiero dello sfruttamento istituzionalizzato degli animali è ciò che spinge molti vegani con cui ho lavorato a cercare una terapia per la depressione, l'ansia, i problemi di relazione e, a volte, i traumi. Come questi problemi possano manifestarsi in una seduta può essere illustrato nel mio lavoro con Tessa, una ex paziente.
Quando Tessa, di 32 anni, mi ha contattato, ha detto di essere vegana e di aver cercato un terapeuta vegano oppure, ha detto, uno che fosse "vegan-friendly, come in un ristorante". Di conseguenza, avevo la sensazione che i suoi problemi fossero legati al mondo del veganismo. Tuttavia, avevo lavorato con persone che richiedevano un terapeuta "vegan-friendly" che volevano solo la garanzia che sarei stata di supporto, qualora il problema fosse saltato fuori. Ed è venuto fuori con Tessa. Dal punto di vista scolastico, il mio stile terapeutico è diretto ed eclettico. Sono stata influenzata da vari approcci terapeutici, tra cui la psicodinamica, l'esperienza somatica, l'ipnoterapia, la terapia cognitivo-comportamentale, l'ecoterapia, i sistemi familiari interni e l'esistenzialismo. Credo che dobbiamo guardare non solo dentro di noi per trovare ciò che ci affligge, ma anche il nostro rapporto col mondo che ci circonda. In questo contesto, lavoro con individui che sono alle prese con una grande varietà di questioni, tra cui, (ma non solo), le relazioni, le transizioni della vita, il lutto per la perdita di animali e il veganismo in senso etico: quest'ultimo è sia una mentalità che uno stile di vita, praticato da persone che si preoccupano profondamente per tutti gli animali e si oppongono a far loro del male in qualsiasi modo.
Tessa ha sorriso debolmente accasciandosi sul divano, in silenzio per qualche istante. Si sentiva "molto demoralizzata, molto ansiosa". Diceva che il suo cuore batteva forte e sentiva lo stomaco come se stesse guardando qualcuno su un trampolino. Le sue difficoltà sono iniziate dopo aver visto due video che descrivevano lo sfruttamento degli animali - ha usato le parole "abuso di animali". È passata a uno stile di vita vegano dopo aver visto il secondo video. Tessa si sentiva immensamente colpevole "di essere stata parte del problema", si rimproverava di "non averlo saputo prima" e si sentiva "senza speranza per la situazione". Di fronte alle frequenti immagini di abusi sugli animali sui social media, crollava emotivamente. Spesso queste immagini le tornavano alla mente in modo spontaneo.
Quando parlava di questo argomento con la famiglia e gli amici, riceveva risposte sprezzanti: "ci sono cose più importanti di cui preoccuparsi", "sei troppo sensibile", "fatti una vita!”
Prima di rivolgersi a me, aveva frequentato un altro terapeuta. Era una "persona emolto gentile", ma le sue domande erano orientate a farle capire che la radice dei suoi problemi risiedeva altrove. Sentendosi costantemente fraintesa, Tessa alla fine aveva deciso di trovare un terapeuta "che avesse capito che qualcuno poteva sentirsi depresso pensando a tutti gli animali maltrattati del mondo".
Lavorando con Tessa, ho adottato un approccio su tre fronti. Il mio primo obiettivo era la convalida che la sensibilità allo sfruttamento degli animali poteva portare alla depressione e all'ansia. Aveva anche bisogno di confidare che io potessi gestire le sue intense emozioni, senza giudicarla.
Il mio obiettivo successivo è stato quello di aiutarla a trovare modi efficaci per calmarsi quando era ansiosa per via di immagini, pensieri o conversazioni inquietanti. Ho usato varie tecniche, tra cui alcune di esperienze somatiche e di ipnoterapia. Per esempio, l'ho aiutata a trasformare le immagini angoscianti in immagini meno angoscianti. I pensieri invadenti sull'abuso degli animali sono stati attenuati sia da diverse tecniche di respirazione, che da esercizi di visualizzazione mirati a ridurre l'ansia. Per ripartire, Tessa si è creata l'immagine mentale di un luogo speciale, pieno di immagini, suoni e odori calmanti. In precedenza aveva praticato la meditazione; le ho suggerito di riprendere questa pratica, per aiutarla a lasciar andare i pensieri indesiderati. Abbiamo parlato anche di come avrebbe potuto ridurre il tempo trascorso sui social media.
Il terzo punto è stato quello di affrontare la sua disperazione, esplorando le possibilità di aiutare gli animali. Poiché ognuno di noi ha talenti, interessi e vincoli di tempo diversi, era importante ideare azioni realistiche. Essendo una "persona umana", ha deciso di fare ricerche sui gruppi per il benessere degli animali, il cui obiettivo era la sensibilizzazione del pubblico. Tessa amava organizzare feste, per cui l'organizzazione di eventi per la raccolta di fondi per le organizzazioni che si occupano di animali sembrava una possibilità interessante.
Nel giro di pochi mesi, Tessa ha iniziato a sentirsi meglio. Disponeva ora di strumenti per calmare la sua mente e il suo sistema nervoso, così come di strategie per la difesa degli animali. Forse, la cosa più importante è che si sentiva compresa.
Come potete vedere, le tecniche per lavorare con i pazienti vegani sono le stesse che useremmo con chiunque altro. Quindi, con questa ritrovata conoscenza e una mente aperta, la prossima volta che qualcuno chiama e vi chiede se sapete qualcosa sul lavoro con i vegani, potete dire: certamente!
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